Verso Nord

[Della contraddizione tra il viaggiare senza meta e la brama, moderna e capitalista, di possederla.]

Siamo partiti ormai oltre due mesi fa senza avere una meta precisa.

Pensare questo viaggio è stata una necessità, un salvagente per la mente e lo spirito dopo lunghi, faticosi mesi di restrizioni.

Ci siamo dati una cornice, uno sfondo: conoscere famiglie e gruppi che come noi hanno scelto l’unschooling e poter raccogliere le loro storie sperando di farne un documentario. Tutto qui.

Non abbiamo pianificato granchè. A chi ci chiedeva quale sarebbe stata la nostra prima tappa rispondevamo ironicamente: Lecco! Solo pochi giorni prima di partire abbiamo pensato di fare sosta a Grumes (TN) che per noi è un luogo speciale, abitato da due amici speciali.

Anche in passato in tutti i viaggi che ho fatto non ho mai programmato niente con largo anticipo. Niente agenzie, niente alberghi, niente tour organizzati, niente pacchetti, niente braccialetti all-inclusive. Forte del mio bagaglio da teatrante ho sempre lasciato ampio spazio all’improvvisazione.

Viaggiare, per me, è aprirsi al mondo. Lasciare che le cose accadano. È con questo atteggiamento che mi sono sempre messo sulla strada. A piedi, in treno, su sgangherati tuk-tuk in Asia o chiassosi e sovraffolati taxi-brousse nell’Africa subsahariana. Può risultare più scomodo, faticoso, lento… ma ne sono sempre stato ripagato. Gli incontri si verificano e ti arricchiscono se sei disponibile a vivere allo stesso ritmo e nelle stesse condizioni delle persone dei luoghi che visiti. Ci sono alcune buone abitudini che pratico durante i miei viaggi e che consiglio a chiunque voglia togliersi gli abiti comodi del semplice turista:

  • Rinuncia alla pizza, ai ristoranti italiani e, ovviamente, a Mc Donald. Assaggia la cucina locale!
  • Impara la lingua! Anche solo qualche semplice frase per salutare, ringraziare sarà molto apprezzata e faciliterà la socializzazione.
  • Se riesci fatti ospitare a casa di qualcuno. Non devi per forza importunare la gente al bar o sui mezzi: esisotono tanti network e portali per farlo. Entrare nelle case permette di conoscere da vicino usi e costumi e spogliarsi dei propri stereotipi. Togliti le scarpe!
  • La fretta del mordi e fuggi non aiuta. Volere visitare tutti i musei, tutte le chiese, fotografare tutti i monumenti non è l’atteggiamento migliore per esplorare un luogo. Se hai tanto tempo a disposizione pemettiti di gironzolare senza meta. Se invece ne hai poco… scegli una panchina, siediti e stai a guardare. Take it easy!

Con Ersilia ci siamo fin da subito trovati d’accordo nel condividere questo stile di viaggio. Certo, ora che siamo genitori, le cose sono un po’ cambiate. Magari non dormo più in parchi pubblici, in spiaggia o nelle stazioni ferroviarie ma non abbiamo rinunciato allo stile essenziale e avventuroso anche solo nelle vacanze estive. Non ci siamo lasciati tentare dagli alberghi family friendly della costiera romagnola… A bordo del nostro inossidabile T3 Westfalia abbiamo cominciato a girare l’Europa anche quando Giacomo aveva solo un anno. Ai campeggi pettinati all’italiana preferiamo aree naturali e sosta libera. Alle piazzole ben delimitiate preferiamo le zone selvatiche.

E comunque a dirla tutta, volente o nolente, neanche io riesco a sottrarmi a quella smania tutta occidentale, consumista e capitalista, di avere una meta da raggiungere. È parte della nostra cultura, è profondamente insito nel nostro modo di essere, di pensare. Siamo abituati ad avere obiettivi da raggiungere, a farlo in fretta, meglio se prima di altri… Altri che sono visti per lo più come rivali, come competitori anzichè come compagni di strada. Riconosco questa attitudine e la considero biasimevole ma non posso dire di esserne del tutto esente. È capitato anche a me, alle volte, arrancando lungo un sentiero di montagna coll’imperativo di arrivare in cima (o anche solo ad un rifugio).

È la brama di fare nostri i luoghi che visitiamo, di possederli, che ci frega. Vogliamo avere tutto, essere dappertutto, vedere tutto per poi postare le foto sui social per far vedere che siamo stati dappertutto.

Ci siamo cascati anche noi venendo a Nordkapp. Non pensavamo di fare tappa in Norvegia, troppo settentrionale e costosa per il nostro budget. Ma l’idea di raggiungere il punto più alto dell’Europa continentale ha cominciato a solleticarci. Il richiamo del Nord si è insinuato nei nostri pensieri.

E cosi eccoci qui. In una meta non prevista oltre cui non si può più proseguire. Con la consapevolezza di aver raggiunto un limite che è solo simbolico, appartiene al nostro immaginario. Un traguardo che una volta toccato rivela la sua effimera ma eccitante essenza.

Ed ora non ci rimane che invertire la rotta e mettere il muso di Joy in direzione Sud.

Nordkapp, 1 settembre 2022

Mi inchino

Ci sono luoghi che ti entrano nel cuore.
Sarà per il tempo che ci hai trascorso, per le sensazioni che hai provato.


Sarà perché ti sei sentita accolta nella tua umana fragilità.
Accolta da una natura potente, avvolgente, magica che sa donarsi con la sua bellezza e generosità dei frutti.
Accolta da persone che incontri più o meno fortuitamente, con le quali ti trovi a condividere l’umana ricerca di stare-nel-mondo, con la consapevolezza che è solo provando (ed errando…) che si può stare, in ascolto e connessi.

E allora quando, durante l’ultima passeggiata nel bosco, tua figlia di 5 anni incomincia a piangere dicendo che le mancheranno questi boschi incantanti; incomincia a salutare con una litania
“Ciao alberi belli,
Ciao muschio bello,
Ciao rocce belle,
Ciao renne belle,
Ciao puolukka belli”;
abbraccia e bacia gli alberi e ad un certo punto s’inginocchia a terra.
Mi sono venute in mente le dolci e intense parole di Chandra Livia Candiani (in “Il silenzio è cosa viva”):
“Inchinarsi è l’occasione per sostare su una soglia, un limite, un luogo di rischio dove si incontra la verità dell’altro senza interpretazione. Il luogo dell’altro è il forse.
Mi inchino per imparare a esitare, a sostare nel non sapere di te, lasciare che tu riveli chi sei.
Mi inchino per onorare la terra, riconoscerne il sostegno, offrirle la mia cura.”
In tutto questo, io non ho potuto che piangere sommessamente, vivendo lo stesso dispiacere ma anche un senso di gratitudine e bellezza per quanto i nostri  occhi e cuori hanno ricevuto!

Mi inchino all’umiltà di Anita,
mi inchino alla bellezza, alla generosità e  alla forza che la Terra ha nel sostenere il nostro procedere!

Helsinki!

Ultima tappa della nostra visita in Finlandia: Helsinki!

Dopo aver trascorso alcuni meravigliosi giorni insieme a Felipe e Annarikka abbiamo lasciato Sammatti per visitare la capitale finlandese situata nella parte meridionale del Paese sulle rive del golfo di Finlandia.

Fondata nel 1550 per volere del re di Svezia Gustav Vasa con il nome di Helsingfors non è da sempre la capitale del Paese. Fu nel 1812, durante il dominio russo, che lo zar Alessandro I decise di spostare la capitale finlandese da Turku a Helsinki in quanto la relativa debolezza dell’influenza svedese sulla città, e la sua vicinanza a San Pietroburgo, avrebbero reso il controllo del governo locale più semplice.

Siamo arrivati in città sabato sera e dopo una tappa al supermercato e una cena a base di burritos abbiamo trovato un posto in cui pernottare. Parcheggiare è davvero costoso in questa città: le tariffe orarie variano da 2 a 4 €/ora a seconda della zona. Fortunatamente abbiamo trovato una zona con dei lavori in corso non lontana dal centro in cui poter dormire a costo zero.

Al nostro risveglio ci siamo diretti al Dallapènpuisto in cui, ogni domenica si svolge un mercatino delle pulci. Fin dalle prime ore del mattino i sentieri di questo parco cittadino si riempiono di venditori e acquirenti. Anche noi abbiamo allestito la nostra bancarella: per guadagnare qualcosa con cui sostenere le spese di viaggio ci siamo portati dietro alcuni articoli di artigianato prodotti da noi o acquistati nei nostri precedenti viaggi in giro per il mondo.

Non abbiamo fatto un grande incasso ma è stato bello incontrare persone di varie nazionalità che si ritrovano per vendere o acquistare qualsiasi genere di prodotto.

In modo particolare ci porteremo dietro il ricordo di Jaikub, un ragazzo proveniente dal Kurdistan, rifugiatosi in Finlandia per fuggire alla persecuzione del suo popolo da parte del governo turco. Il nostro vicino di bancarella ha condiviso con noi il suo pranzo e, al momento di lasciarci, ci ha donato un sacchetto pieno di dolci tipici del suo Paese. La sua generosità è stata disarmante e ci ha dato una grande lezione di umiltà.

Quando i potenziali acquirenti hanno cominciato a diminuire abbiamo smontato la nostra bancarella e abbiamo gironzolato per le vie del centro prima di rientrare su Joy per la cena.

Il giorno successivo abbiamo continuato la nostra visita dedicando la maggior parte del tempo ad un edificio in particolare: la biblioteca Oodi. Si tratta di un luogo straordinario sia dal punto di vista architettonico sia dal punto vista culturale.

La struttura in acciaio, legno e vetro ricorda lo scafo di una nave e si compone di tre livelli: al piano terra, oltre ad un ristorante e un cinema, sono presenti diversi tavoli in cui è possibile giocare, tra le altre cose, a scacchi, dama e go. Il primo piano è interamente dedicato alle arti con postazioni per il cucito, sale di incisione, stampanti tradizionali e 3d e, ovviamente postazioni multimediali. Sempre al secondo piano si trovano diverse salette, particolarmente apprezzate da Giacomo, in cui è possibile utilizzare console per videogame. Il terzo piano è sede di una raccolta di oltre 100.000 volumi. Abbiamo trovato anche libri (per adulti e bambini) in italiano! Oltre a libri, quotidiani e riviste in diverse lingue è possibile utilizzare e prendere in prestito innumerevoli giochi in scatola. Un’intera area di questo piano è dedicata ai bambini e alle famiglie con tappeti, spazi in cui giocare e salette per attività motorie e artistiche. Di fronte alla caffeteria si accede ad un ampia terrazza che, abbiamo scoperto, è allo stesso livello dell’ingresso del palazzo dell’antistante parlamento. Gli architetti hanno voluto simboleggiare con questa scelta la pari importanza della cultura rispetto alla politica. Davvero tanta roba!

Il mondo è la mia casa

Incontrare persone che abitano in luoghi isolati, immersi in una natura intensa e predominante, fa riflettere su possibilità altre di vivere, stare e relazionarsi con il mondo e gli altri… aprendo prospettive affascinanti.

Nel nostro peregrinare, aperti a incontri che nascono da altri incontri, abbiamo conosciuto e trascorso del tempo con una famiglia italiana trasferitasi in Scandinavia tre anni fa, prima in Svezia e poi in Finlandia.

L’incontro con Cristina, Cristian e i loro quattro figli è stato un po’ “un tornare a casa”: è stato un ritrovare un sostrato culturale sociale vicino e familiare. Anche per Giacomo e Anita è stata l’occasione per incontrare bambini e bambine con cui parlare (e giocare!) in italiano. È stato interessante sentire raccontare la Finlandia attraverso i loro occhi e la loro esperienza, confrontandola con la nostra percezione. Ci hanno aiutato a decodificare alcuni aspetti della cultura Finlandese e hanno condiviso la loro esperienza e ricerca di vita.

Abbiamo visitato in più momenti l’ecovillaggio Katajamäki (collina dei ginepri) parlando con le persone che ci abitano stanzialmente o per lunghi periodi.

Valtteri è uno di questi.

Ci ha mostrato alcuni spazi, tra cui la stanza dove dorme.

Istintivamente gli ho chiesto: “Questa è la tua stanza?”

Risponde: “Non è mia! È dove vivo.”

Poi esce e guardando verso il cielo, allargando le braccia mi dice: “Questa è la mia casa!”

Questa frase mi è risuonata subito percependo molto umile, vero e profondo il suo sentire.

Mi ha commosso e mi ha fatto molto ragionare sul mio presupposto culturale e linguistico!

Mi è subito tornato alla mente quello che ci raccontava qualche giorno prima Cristina: la lingua finlandese oltre a non avere i generi femminile e maschile, stabilisce una relazione molto diversa tra soggetto e oggetto. Non è il soggetto a possedere l’oggetto ma è l’oggetto che in un certo senso viene al soggetto, implicando un’ idea di transizione circolare per cui come arriva, può andare…

Mi fa molto riflettere su quanto la lingua con cui pensiamo (ancor prima di esprimerci) rifletta una visione della relazione che instauriamo come soggetti con altri soggetti e con le cose del mondo. L’idea del possesso ci pone in una relazione di dominio e predominanza, rispetto a tutto ciò che riceviamo come dono.

La terra che ci accoglie, sostiene e nutre è un dono!

Il cielo che ci circonda, orienta e avvolge è un dono!

Spesso penso di dover possedere qualcosa e invece è così bello porre l’attenzione su quanto si può usufruire e godere delle cose perché in qualche modo “arrivano a noi”.

In Finlandese abbiamo osservato e spesso goduto di strutture, risorse, servizi messi a disposizione in modo generoso, gratuito e con una fiducia implicita. Capita spesso di trovare, lungo i sentieri nei boschi, strutture di legno (lavuu) dove potersi riparare ed eventualmente dormire, con la postazione fuoco e griglia (non raramente munita di legna già spaccata o utensili per farla nel bosco vicino) e immancabile compost-toilette (con tanto di carta igienica). In alcune aree soste per viaggiatori si trova il servizio lavatrice-asciugatrice gratuito.

Ci siamo piacevolmente stupiti di questa disponibilità che, a mio parere, implicano un alto grado di fiducia nel fatto che le persone possano usufruirne in modo responsabile, autogovernandosi in base al bisogno. Mi sembra implicitamente un grande esercizio di consapevolezza e libertà, che stimola in chi riceve senso di gratitudine, responsabilità e desiderio di cura del mondo che ci ospita!