Finalmente Finlandia

Inari. Lapponia. Poco più 300 chilometri a nord di Rovaniemi e poco meno di 400 chilometri a sud di Capo nord.

Siamo in Finlandia da poco meno di una settimana e questa terra ci ha già conquistati.

Dopo la traversata di circa 3 ore sul traghetto che ci ha portati da Tallin a Helsinki ci siamo diretti subito a Vantaa. Qui abbiamo incontrato Carl, un simpatico teatroterapeuta che avevamo contattato qualche giorno prima, che si è reso disponibile ad ospitarci. Abbiamo trascorso una piacevole serata in compagnia sua e di Cedric, un volontario tedesco che sta girando il nord Europa in sella alla sua moto. Oltre ad aprirci le porte di casa sua Carl si è reso disponibile a custodire le nostre biciclette finchè non torneremo a sud dopo aver visitato la Lapponia.

La nostra Joy e il Fiat Talento di Carl

Già, perche dopo poche centinaia di chilometri dalla nostra partenza il portabici di Joy putroppo ha cominciato a dare segni di cedimento: uno dei due sostegni a cui è agganciato si è parziamente staccato col rischio di cedere. Non appena è stato possibile, mentre eravamo in sosta nel terreno di Martin e Katarina a Dolni Vestonice, Repubblica Ceca, l’ho smontato e riparato alla meglio mettendo nuove viti più grandi e incollando il supporto alla carrozzeria. Per non correre il rischio di perderle per strada abbiamo comunque deciso di spedire a casa almeno una bicicletta, quella di Ersilia, e tenere la mia, dotata di seggiolino per Anita, e quella di Giacomo. E qui è iniziata un’odissea… Grazie all’aiuto di Martin abbiamo contattato il servizio clienti di Gls, chiesto un preventivo, e abbiamo procurato cartoni, scotch e tutto quanto potesse servirci per impacchetare la bici. Siamo arrivati davanti alla sede di Gls di Brno durante la pausa pranzo e, in attesa che riaprisse, abbiamo iniziato a smontare la bici. Poco dopo è comparso un dipendente che vedendoci al lavoro ci ha chiesto se fossimo intenzionati a spedire la bici. Alla nostra risposta affermativa ci ha informato, in un inglese stentato, che non sarebbe stato possibile! A nulla è servito l’intervento telefonico del nostro amico a fare da interprete e successivamente a cercare altre compagnie disponibili. A quanto pare da poco più di un anno a questa parte nessun corriere offre più il servizio di spedizione delle biciclette. Non abbiamo ancora capito perchè e, al momento, abbiamo rinunciato a capirlo. Abbiamo acquistato delle cinghie con cui assicurare il portabici alle barre fissate al tetto di Joy e incrociando le dita di mani e piedi ci siamo rimessi in viaggio.

Ad oggi, dopo diversi giorni e molti chilometri, il portabici sembra tenere ma visto che Carl si è reso disponibile gliele abbiamo dunque lasciate per qualche giorno. E a quel punto, più leggeri e senza timori, ci siamo lanciati (alla velocità folle di 80 km/h!) verso Rovaniemi.

Dopo la tappa obbligata al villaggio di Babbo Natale, dopo la carrambata e il pranzo con Alessandro (un mio compagno delle magistrali che si trovava qui in vacanza con la famiglia), dopo la sosta a Sodankyla con visita al meraviglioso museo del patrimonio culturale locale, dopo gli incontri con le numerose renne che popolano questi boschi, siamo arrivati qui…

Renne on the road

Inari. Lapponia. Poco più 300 chilometri a nord di Rovaniemi e poco meno di 400 chilometri a sud di Capo nord.

Siamo entrati nell’ufficio turistico mentre fuori nuvole grigie, pioggia battente e arcobaleno si contendevano un posto nel cielo turchino. Una gentilissima impiegata ci ha fornito informazioni sui sentieri della zona e ha risposto pazientemente a tutte le mie domande anche quando ho cercato aiuto per risolvere i problemi di connessione della mia sim finlandese appena acquistata.

Ci siamo dunque diretti verso la zona indicataci galvanizzati dal fatto che anche Park4night segnalava nei paraggi la presenza di una area di sosta in natura.

Area di sosta in mezzo ad un meraviglioso bosco di abeti

Che scelta azzeccata! Siamo qui da due giorni e a poco più di 500 metri da dove abbiamo parcheggiato scorre impetuoso lo Juutuanjoki. Le due sponde del fiume sono collegate da un ponte sospeso che, seppur solido, traballa ad ogni passo. Anita si è divertita un sacco a percorrerlo più e più volte e a sdraiarsi osservando le rapide del fiume.

Nella sponda opposta a quella da cui siamo arrivati c’è una laavu, termine che in finlandese indica una tettoia, una capanna aperta, con al centro un braciere per il fuoco. Accanto alla laavu c’è un altro edificio più grande, anch’esso ovviamente in legno di abete, che ospita due locali: una compost toilet (più grande del bagno di casa nostra) e un deposito stracolmo di sacchi di legna da ardere pronti all’uso.

A questo punto chi ci conosce può immaginare cosa sia successo… Da due giorni ci siamo praticamente trasferiti qui. Per noi si avvicina molto all’idea di paradiso terrestre: chilometri di sentieri, un sottobosco generoso di mirtilli e funghi, un torrente in cui Giacomo si sta cimentando nella pesca, un’intera foresta da eplorare, il braciere per accendere il fuoco con cui scaldarci e cucinare… Cosa desiderare di più?

Nelle ore trascorse intorno al fuoco abbiamo avuto modo di leggere, scrivere, chiaccherare, giocare e fare la conoscenza con diverse persone con cui abbiamo intavolato interessanti conversazioni.

La prima sera abbiamo conosciuto Mario e Lea, una giovane coppia di viaggiatori tedeschi in giro da due mesi. Ci stanno prendendo gusto e chissà che non decidano di prolungare il loro viaggio.

Oggi è stata la volta di Mario (ancora!) e Bregje, due signori olandesi innamorati, oltre che uno dell’altra, della Finlandia. Ci hanno consigliato di visitare la Finlandia sud-orientale in cui da qualche anno prendono in affito una casa. Ci hanno anche detto che se passeremo dall’Olanda ci ospiteranno a casa loro.

E, infine, è stato il turno di Leila, finlandese, proveniente dal sud che si trova qui temporaneamente per lavorare come interprete in un incontro tra rappresentanti norvegesi e finlandesi che dovranno discutere del diritto di pesca in un fiume che percorre il confine tra i due stati. Anche lei ci ha detto che se decidessimo di passare dalle sue parti sarebbe lieta di accoglierci nel suo cottage in riva al lago.

Che dire, begli incontri in un luogo incantevole. Roba da rimanere qui per sempre. O almeno un’altra settimana. Ed invece domani si riparte mettendo il muso di Joy di nuovo verso nord…

Orchi e streghe

Passeggiando per un bosco poco fuori Tallinn, capitale estone, con Giacomo abbiamo parlato delle sue paure.
Ultimamente capita che durante la notte si svegli dicendo che ha paura dei mostri.
Abbiamo cercato di capire quale sia il timore e come si sente quando cala il buio che richiama l’ignoto.
Noi stessi, Sandro e io, ci siamo ritrovati a raccontare di quando da bambini temevamo il buio e di tutto quello che la nostra immaginazione proiettava in quel buio.
A ripensarci sento ancora quella paura come reale, fisica, non razionalmente spiegabile. Abbiamo riconosciuto legittime le paure di Giacomo, con i suoi otto anni di vita, che si trova a vivere un’esperienza elettrizzante ma anche ricca di incognite!

Abbiamo cercato di ascoltare, accogliere, rispecchiare e legittimare le sue paure più esplicite chiedendo cosa potrebbe aiutarlo ad “avere meno paura”.
Siamo arrivati a ricordarci che starci vicino  rassicura e rasserena, ricordandogli la nostra presenza, protezione e amore.
Questo, da madre e da padre, è il nostro primario compito anche se in cuor mio sono consapevole che può essere solo un buon proposito.
Il timore di non essere sufficientemente protettiva è reale e tangibile!
So che non posso (e forse, non devo) proteggerlo da tutto, neanche dalle sue stesse paure. Non è nelle mie reali e umane possibilità. Non posso, anche se vorrei, controllare l’accadere delle cose.
Tanto meno non posso illudere i miei figli di poterlo fare, non sarebbe onesto.
La cosa che, forse, posso fare è accogliere il mio e loro senso di fragilità poiché è questo che più di tutto le paure ci ricordano: che siamo fragili!
È questa fragilità che tanto ci fa sentire esposti e indifesi. Ci fa tremare…
Ma a volte forse dobbiamo un po’ tremare per comprendere quanto di prezioso e precario abbiamo, per desiderare un abbraccio che scalda e accoglie, per dialogare e scendere a patti con le ombre che ci accompagnano.

Abbiamo cercato, in un secondo momento, di ironizzare dicendo che se i “mostri” annusano i piedi (talvolta sporchi e puzzolenti) forse scappano!
Poi mi è venuto da ricordare che più di tutto i “mostri”, come dice Manuel Agnelli, sono soli, forse bisognosi solo di attenzione, e che quando si ha il coraggio di affrontarli si scoprono cose inaspettate!
Allora penso ai miei “mostri”: quelli che da piccola cercavano spesso di entrare dalla porta di casa mia, creandomi molta paura e inquietudine. Quando una volta, invece che opporre resistenza, ho aperto la porta per “dirgliene quattro”, li ho trovati sicuramente brutti ma anche molto indifesi, fragili e soli!!
Mi hanno fatto così tanta tenerezza che non sono più tornati a trovarmi nel cuore della notte!

Auguro a Giacomo, con il tempo, di riuscire a trovare un modo per entrare in relazione con i suoi “mostri”, per forse scoprire che spariscono proprio quando accettiamo di vederli e fargli compagnia!

A casa di… Anja e Adam

Il soggiorno trascorso a casa di Adam e Anja è stato intenso e piacevole!

Abitano a Opinogora Gorna, a poco più di 100 chilometri da Varsavia.
La loro casa è immersa nella natura e ci hanno messo a disposizione un appartamento recentemente ristrutturato in un ex fienile molto suggestivo.

Abbiamo contribuito a diversi lavori manuali: dallo spaccare la legna per l’inverno, fare una cernita dei ferri vecchi da buttare, sistemare cose precedentemente tolte dalla cantina, isolare una parete con pannelli di polistirolo, lavare damigiane, raccogliere ortaggi e preparare conserve.

Abbiamo apprezzato quanto Adam e Anja dedichino tempo all’autoproduzione di generi alimentari: dalle conserve alla produzione di birra (tra l’altro ottima!)


Così come nella precedente esperienza questi lavori ci impegnavano per 5 ore al giorno.
È stato impegnativo ma ci ha dato anche soddisfazione poter contribuire alla sistemazione e al miglioramento delle case altrui.
Ogni casa insieme alle persone che la animano e abitano è un pezzetto di mondo, con i suoi sogni da realizzare.
È piacevole contribuire a rendere questi ambienti più confortevoli, familiari e accoglienti.
Credo che sistemare il “troiaio” (licenza poetica del nostro host polacco che parla italiano) non sia solo una questione estetica: né un vezzo né una pulsione di controllo. Più che altro una questione di cura e di attenzione di come stiamo negli ambienti, con noi stessi e con gli altri!
E’ un modo per riconoscere l’abbondanza di ciò che ci circonda e si ha, per dare valore a quello che c’è e valorizzarlo!
Perché – come dice una canzone degli Afterhours – “se vale tutto niente vale!”

Nel tempo libero abbiamo fatto delle cose piacevoli: il falò la sera di Ferragosto, nuotate nel laghetto e anche per loro Sandro ha cucinato la sua famosa pasta alla carbonara!

Anche ad Adam abbiamo chiesto di raccontarci le motivazioni che li hanno portati a scegliere di iscrivere loro figlio in una scuola democratica che, purtroppo, visto il periodo di vacanze estive non abbiamo potuto visitare.

La sua testimonianza come quelle finora raccolte e quelle a venire entrerà a fare parte del documentario che vorremmo realizzare.

Nell’atelier di Adam Kolakowski

Oltre la paura

Quando pochi giorni fa abbiamo fatto sosta a Mszana ci siamo accorti di essere a pochi chilometri da Auscwhitz e, istintivamente, abbiamo pensato di venire a visitarlo. Era un’opportunità troppo grande per non coglierla.

Adesso, dopo oltre quattro ore di visita guidata, Giacomo e Anita, esausti, si sono addormentati e tra noi è calato il silenzio.

Sono talmente forti le emozioni vissute oggi che le parole sembrano un inutile orpello nel tentativo di cercare di dare una spiegazione che in realtà non c’è o, quantomeno, non rende giustizia all’orrore accaduto in questi luoghi e vissuto da oltre un milione di persone.

In certi momenti ci è sembrato di avere il bisogno di nasconderci dietro al cellulare per catturare immagini che parevano pugni nello stomaco. Un modo ingenuo per allontanare o anche solo creare una distanza emotiva tra noi e quelle stanze ormai vuote che trasudano una pienezza troppo greve da sopportare.

Anna, la guida che ci ha accompagnato nella visita, ci ha condotto nei diversi luoghi del campo, nelle baracche adesso adibite a museo.

Quelle più tristemente suggestive sono probabilmente quelle che furono chiamate “Canada” (agli ebrei prelevati dai ghetti veniva detto che sarebbero stati condotti nel Paese nordamericano per potervi iniziare una nuova vita”).

Vi sono raccolti montagne di effetti personali: occhiali, scarpe, pettini, vestiti, pentole, protesi, valigie… Questi enormi accumuli ci sono sembrati i precursori di celebri installazioni di arte contemporanea come, ad esempio, quelli di Christian Boltanski.

Il campo di sterminio venne creato alla metà del 1940, nella città di Oswiecim, rinominata dai tedeschi Auschwitz. Ha assunto da subito al ruolo di campo di concentramento soprattutto per ospitare prigionieri polacchi che non trovavano più posto nelle carceri ormai sature.

A partire dal 1942 il lager iniziò a svolgere una seconda, terribile, funzione: iniziò ad essere utilizzato come campo di stermino di massa per gli Ebrei.

La scelta del luogo in cui far sorgere il campo ha due ragioni principali: innanzitutto con l’occupazione della Polonia i soldati nazisti confiscarono le caserme già esistenti per evitare di doverne costruire di nuove. Inoltre, dal punto di vista geografico, Oswiecim si trova nel cuore dell’Europa e grazie alla sua rete ferroviaria era particolarmente adatto, dal punto di vista logistico, per convogliare i numerosi treni carichi di prigionieri provenienti da ogni angolo del continente.

Le dimensioni di questi luoghi sono enormi: un vero e proprio distretto dell’orrore che, grazie al lavoro forzato dei prigionieri, portò tra il 1942 e il 1944 alla costruzione di circa cinquanta campi sussidiari nei dintorni oltre a Birkenau e Monowitz per una superficie totale di circa 40 chilometri quadrati (la cosiddetta Interessengebiet – zona di interesse).

Il vicino campo di Birkenau, costruito sul territorio del paese di Brzezinka, fu costruito a partire dal 1941 e vi vennero installati i più celebri e terribili strumenti del genocidio pianificato dai nazisti: le camere a gas.

Uno degli aspetti che più ci ha colpito è stata la fredda e calcolata premeditazione con cui i vertici dell’esercito tedesco hanno cercato di ottenere il massimo risultato (numero di persone eliminate) con il minimo sforzo in fatto di tempo e spesa. Una strategia basata sul principio di economia, la quintessenza della capacità manageriale applicata ad un disegno folle e crudele.

La scelta stessa di utilizzare lo Zyklon B come strumento di morte risponde alla necessità di uccidere molte persone contemporaneamente senza utilizzare neanche una munizione.

I numeri di questo folle progetto sono, ancora una volta, impressionanti:

  • nel 1944 i nazisti deportarono ad Auschwitz quasi 430 mila Ebrei dalla sola Ungheria;
  • 300 mila dalla Polonia;
  • 7 mila e 500 dall’Italia;
  • in tutto oltre 1 milione e 300 mila persone furono deportate ad Auschwitz-Birkenau;
  • la funzionalità delle camere a gas arrivò a dispensare la morte a 6000 persone al giorno;
  • il 20% delle persone entrate nei due campi erano bambini;
  • la razione di cibo quotidiana (pane, zuppa e un pezzo di margarina) non arrivava a 1000 calorie.

Oltre all’eccidio di così tante persone questi luoghi hanno visto perpetrare esperimenti sui corpi di bambini e bambine, uomini e donne nel nome di una scienza folle che voleva, tra le altre cose, portare alla sterilizzazione di massa delle cosiddette razze inferiori e a una maggiore fertilità per le donne tedesche.

È osservando le foto e i materiali esposti negli edifici che costituivano il lager, divenuto museo e luogo della memoria nel luglio del 1947, che abbiamo avuto modo di percepire e toccare con mano il senso di ciò che Hannah Arendt definì la banalità del male.

Ci siamo chiesti quanto fosse opportuno per i nostri figli fare questo tipo di esperienza emotivamente molto intensa.

Ci siamo interrogati a lungo prima di prendere una decisione e alla fine ha vinto l’idea che fosse un’occasione irripetibile per poter conoscere e tematizzare una pagina di storia.

Li abbiamo portati con noi alle manifestazioni del 25 aprile, recentemente abbiamo discusso del conflitto in corso in Ucraina e, più in generale, abbiamo sempre affrontato tematiche di attualità, anche forti e crudeli, con sincerità ed apertura.

Durante la visita hanno ascoltato con attenzione, hanno fatto domande a noi e alla guida, hanno osservato le baracche, le foto, gli ammassi di scarpe, vestiti, capelli. Hanno visto la camera a gas e i forni crematori del campo di Auschwitz-Birkenau.

Alla fine, come spesso accade, ci siamo accorti che le loro competenze e capacità di rielaborazione sono maggiori delle nostre perplessità e dei nostri timori iniziali.

Durante la cena abbiamo avuto modo di parlare insieme della giornata che si stava concludendo, di cosa ci aveva colpito e delle emozioni che ci stavano attraversando.

Ecco le loro impressioni:

Giacomo: << Mi ha colpito vedere quelle montagne di vestiti, scarpe e capelli e sapere che gli estraevano i denti d’oro. Mi ha stupito che l’80% delle persone andavano direttamente nelle camere a gas e solo il 20% veniva messo nel campo di concentramento. A Birkenau mi hanno fatto impressione i bagni nella baracca. Erano tantissimi e tutti vicini, senza divisori. Un’altra cosa che mi è rimasta impressa è come li facevano entrare nelle camere a gas: dopo il viaggio in treno gli proponevano di fare una doccia, gli chiedevano di ricordare dove lasciavano i vestiti e gli davano il sapone. Quando erano dentro chiudevano la porta e spegnevano la luce. A quel punto gli ebrei capivano che era un inganno. Mi è molto dispiaciuto sapere che i nazisti usavano così tanta prepotenza. Ho privato tristezza per tutte quelle persone morte.>>

Anita: <<Anche a me hanno colpito i capelli e poi i vestiti e le scarpe dei bambini. Tutti quei capelli dimostrano che c’erano cento infinite persone e sono tutte morte. Ho sentito che la guida diceva che gli davano pochissimo cibo. Mi sono sentita triste per loro…>>

Ci siamo messi in viaggio spinti dal desiderio di cercare nuovi orizzonti, nuove prospettive per guardare al mondo con gioia e stupore e ci siamo imbattuti nell’orrore e nella disperazione.

Speriamo che questa tappa possa servire alla nostra famiglia e a chi legge questo blog a fare tesoro di questa testimonianza per dare un senso alle parole di Primo Levi sopravvissuto dopo un anno di prigionia e liberato dai soldati russi nel 1945 “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.”

Area di sosta di Mszana: wow!

Per scegliere i posti in cui fermarci a dormire il più delle volte ci affidiamo a park4night.

È una app utilissima usata da milioni di utenti che segnalano parcheggi, aree di sosta a pagamento o gratuite, campeggi, e luoghi in mezzo alla natura.

Ieri, spostandoci dalla Repubblica Ceca alla Polonia, la nostra scelta è caduta su un’area di sosta realizzata dal comune di Mszana.

Può ospitare fino a dieci camper o furgoni. Sono presenti tutti i servizi essenziali: carico e scarico dell’acqua, elettricità, bagni e un grazioso berceau con tavolo e panche. Il tutto completamente gratuito!

Dall’altra parte della strada ci sono un panettiere, un supermercato ben fornito e subito dietro un grande e ben attrezzato parco giochi.

Un dipendente comunale passa di qui almeno un paio di volte al giorno. Ci è parso di capire che lo faccia più per piacere che per dovere. Si chiama Jacek (il corrispettivo di Giacomo in polacco), è uno straordinario poliglotta e, con estrema cordialità, ci ha fornito informazioni su Mszana e dintorni.

Al nostro arrivo abbiamo conosciuto Erika e Hansruedi, una coppia di viaggiatori provenienti dalla Svizzera tedesca che, da quando sono in pensione, hanno deciso di acquistare un camper.

Pensavo di impressionarli raccontandogli del nostro desiderio di stare via sei mesi ma mi sono dovuto ricredere quando Erika mi ha detto che loro sono in giro da tre anni!

Praticamente hanno compiuto lo stesso percorso che vorremmo fare noi visitando la Scandinavia (Hansruedi mi ha dato delle ottime dritte su alcune isole a sud di Turku, in Finlandia) per poi andare a svernare nell’Europa del sud.

Amano la Sicilia e hanno trascorso lì entrambi i periodi di confinamento (parola che preferisco rispetto al più usato lockdown).

Erika parla benissimo italiano avendolo imparato nel Canton Ticino dove ha lavorato anni fa come puericultrice. È una donna solare e sorridente ed ha subito interagito con Giacomo e Anita coinvolgendoli in diversi giochi e regalandogli, alla fine, un pallone.

Oggi i nostri itinerari si separeranno, portandoci in direzioni opposte: noi proseguiremo verso nord e loro verso sud ma, chissà, un giorno forse ci ritroveremo lungo la strada… Magari davanti a un cannolo siciliano!

Erika e Hansruedi, in giro in camper da 3 anni!

Testimonianza di una giovane maestra appassionata

Ho chiesto alla nostra host Christina McKellar di raccontarmi un po’ di lei, della sua esperienza come insegnante, del suo approccio e dei suoi sogni.

Ecco cosa mi ha scritto:

My name is Christina Ann McKellar. I am from Pennsylvania, USA but have lived abroad for about 13 years. I am a passionate educator, world traveler, mom of twins, and lifelong learner.

From the time I was a young adult, I knew I wanted to work with children, so it was an easy choice to find a field to study at university.  I graduated with a bachelor’s and master’s degree in elementary and special education at Manhattan College in New York City. Just after graduating, I left for South Korea to embark on my first teaching adventure. My experience was challenging at times, especially navigating the cultural rules and differences. I left Korea after a year with a strong desire to continue teaching abroad. Shortly after, I moved to the Czech Republic where I am still living today.

In the early days of my teaching career, I made most of the decisions in my classroom. I was addressed as Ms. McKellar, enforced rules which were constructed by me and given to the pupils to follow with little explanation. I single-handedly designed the learning environment with colorful papers, and posters and arranged the desks without consulting the pupils who had to sit there. I can still remember spending hours making a giant cupcake out of tissue paper for my first-grade welcome wall. I quickly found myself exhausted by the work and hated the test-driven curriculum I was forced to follow. I had taught for less than 5 years and was already beginning to burn out. 

I was first introduced to concept-based teaching and learning through the International Baccalaureate at MEF International school in Istanbul.  The Primary Years Program follows a concept-based and transdisciplinary curriculum model and encourages learning through an inquiry-based approach. I quickly fell in love with many aspects of teaching and learning in the PYP and was instantly rejuvenated as an educator. My classroom transformed into a communal learning environment where pupils were encouraged to explore their own curiosities and challenged to think about and reflect on their own learning. The students chose how the learning environment would be set up and even graffitied the walls with images that reflected their favorite learning experiences. Learning is engaging, relevant, and owned by the learner. Assessment is the responsibility of the student, parent, and teacher, and is carried out through personal projects and reflection. Opportunities are provided for the learner to explore authentic usage of knowledge and skills and show a transferrable understanding of a bigger idea/concept. 

Enthralled by the Primary Years Program, I since dedicated myself to studying more about concept-based inquiry. In 2017, I completed a week-long training with Lynn Erickson and Lois Lanning and received a certification in concept-based curriculum and instruction. I worked for three years as both a concept-based and PYP curriculum coordinator where I coached teachers, led workshops, and guided my school in the development of a program of inquiry.

I took a 3-year break to be home with my now 2.5-year-old twin daughters. I am living in a small village in the Czech Republic and will be opening a small language club in the fall of 2022, called The Elements English Club. I teach small mixed-age groups and emphasize learning English through play and authentic experiences. Learn more here: https://theelementsenglishclub.com/

In the future, I hope to work more with Czech educators and schools. Through consultancy, I want to help find ways to integrate student-led approaches and a bilingual teaching model into Czech public schools. I hope my language club can provide an example of how teaching and learning English in schools can be more meaningful and effective.

I believe that true educators never stop learning. One of the most inspiring ways to develop professionally is to walk into different classrooms and schools and experience teaching and learning through the perspectives of others around the world. I am happy to support the “Orizzonti di gioia” project and I am looking forward to seeing what their journey will teach us all!

Aggiungo una traduzione per chi ha meno dimestichezza con la lingua inglese…

Mi chiamo Christina Ann McKellar. Vengo dalla Pennsylvania, USA, ma vivo all’estero da circa 13 anni. Sono un’educatrice appassionata, viaggiatrice del mondo, mamma di due gemelli e studentessa permanente.

Da quando ero una giovane adulta, sapevo di voler lavorare con i bambini, quindi è stata una scelta facile trovare un campo d’indagine in cui studiare all’università. Mi sono laureata con una laurea e un master in educazione elementare e speciale al Manhattan College di New York City. Subito dopo la laurea, sono partita per la Corea del Sud per intraprendere la mia prima avventura di insegnamento. La mia esperienza è stata a volte impegnativa, soprattutto navigando tra le regole e le differenze culturali. Ho lasciato la Corea dopo un anno con il forte desiderio di continuare a insegnare all’estero. Poco dopo mi sono trasferita nella Repubblica Ceca dove vivo ancora oggi.

Nei primi giorni della mia carriera di insegnante, prendevo la maggior parte delle decisioni nella mia classe. Sono stata chiamata “signora McKellar”, ho imposto regole che sono state decise da me e date agli alunni da seguire con poche spiegazioni. Ho progettato da sola l’ambiente di apprendimento con carte colorate e poster e ho sistemato i banchi senza consultare gli alunni che dovevano sedersi lì. Ricordo ancora di aver passato ore a fare un gigantesco cupcake con la carta velina per il mio muro di benvenuto di prima elementare. Mi sono trovata subito esausta per il lavoro e ho odiato il curriculum basato sui test che ero costretta a seguire. Avevo insegnato per meno di 5 anni e stavo già iniziando a esaurirmi.

Sono stata introdotta per la prima volta all’insegnamento e all’apprendimento basati su concetti attraverso l’International Baccalaureate presso la MEF International School di Istanbul. Il programma Primary Years segue un modello di curriculum basato su concetti, è transdisciplinare e incoraggia l’apprendimento attraverso un approccio basato sull’indagine. Mi sono subito innamorata di molti aspetti dell’insegnamento e dell’apprendimento nel PYP e mi sono immediatamente sentita ringiovanita come educatore. La mia classe si è trasformata in un ambiente di apprendimento comune in cui gli alunni sono stati incoraggiati a esplorare le proprie curiosità e ingaggiati a pensare e riflettere sul proprio apprendimento. Gli studenti hanno scelto come impostare l’ambiente di apprendimento e hanno persino fatto graffiti sui muri con immagini che riflettessero le loro esperienze di apprendimento preferite. L’apprendimento è coinvolgente, pertinente e scelto dello studente. La valutazione è responsabilità dello studente, del genitore e dell’insegnante e si svolge attraverso progetti personali e riflessioni. Vengono fornite opportunità allo studente di esplorare l’uso autentico delle conoscenze e delle abilità e mostrare una comprensione trasferibile di un’idea/concetto più ampio.

Affascinata dal programma Primary Years, da allora mi sono dedicata a studiare di più sulla ricerca basata sui concetti. Nel 2017, ho completato una settimana di formazione con Lynn Erickson e Lois Lanning e ho ricevuto una certificazione in curriculum e istruzione basati su concetti. Ho lavorato per tre anni sia come coordinatrice del curriculum basato su concetti che PYP, dove ho istruito insegnanti, condotto workshop e guidato la mia scuola nello sviluppo di un programma di indagine.

Mi sono presa una pausa di 3 anni per stare a casa con le mie figlie gemelle di 2,5 anni. Vivo in un piccolo villaggio della Repubblica Ceca e nell’autunno del 2022 aprirò un piccolo club linguistico, chiamato The Elements English Club. Insegno a piccoli gruppi di età miste e porpongo l’apprendimento dell’inglese attraverso il gioco e le esperienze autentiche.

Scopri di più qui: https://theelementsenglishclub.com/

In futuro, spero di lavorare di più con gli educatori e le scuole ceche. Attraverso la consulenza, voglio aiutare a trovare modi per integrare gli approcci guidati dagli studenti e un modello di insegnamento bilingue nelle scuole pubbliche ceche. Spero che il mio club linguistico possa fornire un esempio di come insegnare e imparare l’inglese nelle scuole possa essere più significativo ed efficace.

Credo che i veri educatori non smettano mai di imparare. Uno dei modi più stimolanti per svilupparsi professionalmente è entrare in classi e scuole diverse e sperimentare l’insegnamento e l’apprendimento attraverso le prospettive di altri in tutto il mondo. Sono felice di supportare il progetto “Orizzonti di gioia” e non vedo l’ora di vedere cosa insegnerà a tutti noi il loro viaggio!

Un grande grazie a Christina, oltre che per averci accolti a casa sua, per le belle chiaccherate fatte insieme, per aver condiviso sogni e speranze su un altro modo possibile di fare scuola ovunque essa sia!

A casa di… Jiri e Christina

Nei giorni scorsi siamo stati ospiti di Christina e Jiri. Vivono a Brloh, un piccolo villaggio di circa mille persone nella Boemia meridionale a 160 chilometri a sud di Praga.

Il termine “brloh” significa tana e ci è stato riferito che un tempo questa regione era popolata di orsi.

Lo stemma del paese di Brloh, in Boemia

Hanno ristrutturato da qualche anno la grande cascina dei nonni di Jiri e adesso ci vivono con le loro figlie Asha e Anna di quasi 3 anni. Jiri si occupa di packaging design per un’azienda britannica, Christina è originaria di Philadelphia, Pennsylvania, Usa e lavora come insegnante di inglese. Abbiamo fatto delle lunghe e interessanti chiacchierate sulle nostre esperienze d’insegnamento e sul nostro modo di intendere l’educazione. Ne parleremo in un altro articolo

Jiri e Christina ci hanno contattati dopo aver letto del nostro progetto e ci hanno aperto le porte di casa loro in cambio di qualche aiuto.

Abbiamo estirpato erbacce nell’orto, potato piante, trapiantato mirtilli e rose, trasportato pietre per il pavimento, preparato conserve con i frutti dell’orto, apportato modifiche alla cucina di fango e smontato mobili destinati alla discarica…

È stato un “duro” lavoro ma ci ha fatto piacere ricambiare la loro calda ospitalità e contribuire al miglioramento della casa.

Jiri ci ha accolto offrendoci una birra appena arrivati (alle 10 di mattina!) e ha cucinato per noi delle gustose frittele tipiche di questa regione chiamate bramboraky.

Noi abbiamo contraccambiato con una carbonara in versione vegetariana.

Christina ci ha messo in contatto con l’asilo montessoriano di Ceske Budejovice in cui lavora come insegnante d’inglese e con un’amica che lavora in una scuola democratica di Brno che speriamo di riuscire a visitare nei prossimi giorni.

Pur avendo trascorso poco meno di una settimana, siamo riusciti a vivere dei momenti di scambio e condivisione informale: una sera abbiamo visto “Full metal jacket” di quel geniaccio di Stanley Kubrick (ahimè ancora troppo attuale!).

Serata cinema in giardino – ovviamente in lingua originale coi sottotitoli in ceco!

Un’altra sera, Ersilia ha avuto l’occasione di vedere una performance di teatro-danza molto coinvolgente: “Agora” di Divadlo Continuo.

Christina ed Ersilia hanno condiviso la loro passione per la pratica dello yoga e della danza.

Yoga in compagnia

Le interazioni tra i nostri figli, forse anche a causa della differenza di età, sono state limitate ma Christina ci ha ripetuto più volte di essere molto sorpresa di come Asha ed Anna osservando Giacomo e Anita abbiano iniziate a giocare con la loro cucina di fango che fino ad allora non avevano mai utilizzato.

Speriamo vivamente, nel corso dei prossimi mesi, di incontrare famiglie con bambini/e di età vicine a quelle dei nostri per poter accogliere il loro bisogno di nuove amicizie.

In questi primi giorni di viaggio stanno manifestando una certa curiosità per le lingue straniere e Giacomo, come era prevedibile, si sta appassionando al calcolo del cambio tra euro e corone ceche.

Beh, che dire, come inizio non c’è male… siamo ripartiti da Brloh con un po’ di malinconia ma anche con la voglia di rimetterci sulla strada in cerca di futuri incontri e nuove storie!

Ultima cosa: Jiri e Christina hanno ricavato all’interno della loro casa anche un appartamento adibito a bed&breakfast. Se passate da queste parti vi consigliamo vivamente di fare una sosta qui, magari per poi visitare la meravigliosa Cesky Krumlov…

Scorcio dalle mura del castello

Montessori all’estero

Mercoledì 3 agosto ho incontrato Katarina Hulikova, direttrice della scuola dell’infanzia “Anglicka zahrada” di Ceske Budejovice.

A presentarcela è stata Christina, la nostra attuale ospite, che collabora con la scuola come insegnate di inglese.

Si tratta di una scuola privata bilingue di ispirazione montessoriana.

Al mio arrivo erano presenti nella struttura due adulte e cinque bambini/e. Alcuni di loro stavano giocando su un tappeto altri erano impegnati a lavare con una spugna una grande lavagna di ardesia. Mi sono presentato alle due educatrici e ho salutato bambini/e che sono stati invitati a rispondermi in inglese.

Quando è arrivata Katarina ci siamo spostati in un bar poco distante molto frequentato dalle famiglie del quartiere. Mi è spiaciuto non poter trascorrere un tempo sufficiente all’interno dell’asilo e avere l’occasione di osservare in modo approfondito le loro attività.

Ho chiesto alla direttrice di raccontarmi un po’ delle motivazioni che l’anno portata ad aprire questa scuola e mi ha risposto di averlo fatto perchè, come mamma, era insoddisfatta dell’offerta delle scuole pubbliche sovraffollate e non in grado di accogliere i bisogni individuali delle piccole persone.

Ha scelto l’approccio montessoriano perchè è quello che, secondo lei, risponde meglio ai bisogni dei bambini e delle bambine. Dà molto valore al ruolo dell’ambiente e dei materiali. Per quel che ho potuto vedere gli spazi sono molto curati ed accoglienti. Mi ha riferito di aver avuto difficoltà nel trovare personale formato sul metodo e che le piacerebbe investire maggior tempo ed energie nella formazione con le famiglie.

Ci siamo poi addentrati, tra un caffè e una fetta di torta, in questioni squisitamente pedagogiche e Katarina ha risposto con puntualità a tutte le domande che le ho rivolto e che vorremmo montare in un documentario insieme alle altre testimonianze che raccoglieremo nel nostro viaggio.

Mi ha colpito la sua positività e la passione con cui sembra perseguire il sogno di un’educazione ispirata al principio della libertà di scelta e di ascolto dei bisogni di tutti.

Nei prossimi giorni abbiamo in programma una chiaccherata con una mamma/accompagnatrice di un progetto outdoor per la fascia 6/11 e stiamo aspettando conferma per incontrare un insegnante di ScioSkola una scuola democratica di Brno. Sono curioso di sapere cosa ci racconteranno…