Ho iniziato a fare il maestro quasi quindici anni fa. Dopo aver lavorato per anni come educatore, insegnante di teatro e ludotecario mi sono ritrovato ad accettare la proposta di un amico preside per fare alcune supplenze. Mi sono approcciato all’insegnamento con curiosità e voglia di imparare. Due anni dopo mi è arrivata una proposta di assunzione in una scuola paritaria. Ancora oggi sono grato al direttore di quell’istituto per la fiducia che mi ha accordato permettendomi di sperimentare moltissimo e di mettere in pratica metodologie e teorie apprese sui libri o nei corsi di aggiornamento.
È stato a partire da questa esperienza, finalmente stabile e quotidiana, che qualcosa dentro me si è incrinato.
Ho cominciato a pormi domande sul mio ruolo, sulle dinamiche di potere insite nella relazione maestro/alunno, sulla retorica di domande illegittime rivolte con fare inquisitorio a bambini impauriti da chi già conosce la risposta.
Ho capito che qualcosa non andava.
Il punto di partenza è stato vedere come la creatività, la curiosità, la giocosità e il piacere per l’apprendimento dei miei alunni e delle mie alunne andassero scemando pochi mesi dopo il loro ingresso a scuola. Ciò che ho contribuito ad insegnargli è che imparare è una fatica oltre che un dovere. Ho tolto loro tempo e spazio che avrebbero potuto dedicare al gioco spontaneo. Ho fatto tanti errori sulla pelle dei bambini e delle bambine che ho incontrato in quasi quindici anni di insegnamento. In qualche modo sento di aver mancato di rispetto a loro e a me stesso.
Ne ho ricavato a distanza di tempo una nuova consapevolezza.
E la nascita del nostro primo figlio ha accelerato il cambiamento che già era in corso indirizzandomi verso una scelta per nulla facile, complessa, radicale.
Continua…